Contratto leader, il requisito di rappresentatività nel Nuovo Codice degli Appalti

In una recente pronuncia la Cassazione torna sull'applicazione del "contratto leader" di categoria ai fini del calcolo della contribuzione obbligatoria - Lo "strumento trainante" è anche protagonista dell'obbligo sancito dall'art. 11 del Nuovo Codice degli Appalti, in vigore dal 1° luglio 2023

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Con ordinanza 19 maggio 2023, n. 13840, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio in forza del quale la retribuzione da assumere a base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere d’importo inferiore a quella che sarebbe dovuta ai lavoratori occupati in un determinato settore economico in applicazione del contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative su piano nazionale (trattasi del cosiddetto contratto collettivo di lavoro  leader ).

Nel caso di specie, una società cooperativa ha proposto opposizione giudiziale all”avviso di addebito emesso dall”INPS a titolo di contributi, somme aggiuntive, sanzioni di mora e compensi di riscossione per l”ammontare di € 55.930,57.

Ai fini del calcolo della contribuzione obbligatoria di previdenza ed assistenza da versare all”Istituto in relazione a ciascun lavoratore in forza, la società aveva assunto l”importo della retribuzione individuato da un CCNL che non era stato sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

La Corte d”Appello ha rigettato la domanda sul presupposto che i livelli retributivi da prendere come base di calcolo della contribuzione previdenziale e assistenziale sono quelli stabiliti dal “contratto leader” di categoria. Infatti, “la retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all”importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione d”importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo” ( art. 1, c. 1 del D.L. n. 338/1989 , convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge n. 389/1989 e art. 2, c. 25 della Legge n. 549/1995).

La “categoria” dell”attività d”impresa rileva, quindi, ai fini del calcolo della contribuzione obbligatoria, parametrata appunto sulle retribuzioni stabilite dal contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale della “categoria” di riferimento, cioè del “settore produttivo in cui opera l”impresa” ( Corte di Cassazione, sent. n. 801/2012 ).

Confermando la pronuncia di merito, la Suprema Corte ha affermato che nel caso di coesistenza di una pluralità di fonti contrattuali (anche di diverso livello) applicabili alla medesima categoria, ai fini della determinazione del “minimale contributivo“, il datore di lavoro è tenuto a considerare il “contratto leader”, ossia quello dotato “della superiore rappresentatività in termini comparativi delle associazioni sindacali stipulanti, requisito adeguatamente provato in giudizio dall”INPS sulla base di indici quali la consistenza associativa, la diffusione territoriale e il numero di contratti collettivi stipulati“.

Sul punto, è opportuno richiamare il D.M. 15 luglio 2014, n. 14280-ter , che ha individuato, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale, puntuali criteri per la valutazione della rappresentatività di un”organizzazione sindacale o datoriale”:
a) la consistenza numerica degli associati all”organizzazione sindacale o datoriale;
b) l”ampiezza e la diffusione dell”organizzazione sul territorio nazionale;
c) la partecipazione alla formazione e alla stipulazione del contratto collettivo di lavoro;
d) l”intervento dell”organizzazione nelle controversie di lavoro, individuali, plurime o collettive.

Al riguardo, si consideri altresì che con l”introduzione del codice alfanumerico unico, attribuito dal Consiglio nazionale dell”economia e del lavoro (CNEL) a ciascun CCNL depositato, e che è fatto obbligo sia esposto dal datore di lavoro nel flusso Uniemens, può essere agevolmente accertato il solo requisito di rappresentatività di cui alla precedente lettera b).

Attingendo alle informazioni raccolte mediante il flusso Uniemens, l”INPS è infatti in grado di determinare con immediatezza il numero dei lavoratori – anche non iscritti alle associazioni sindacali – nei confronti dei quali trova applicazione uno specifico contratto collettivo nazionale di lavoro.

Per la Corte di Cassazione, il contratto leader è uno strumento trainante“, in quanto costituisce la fonte contrattuale che meglio rappresenta “le caratteristiche, anche soggettive dell”impresa, la storia contributiva dei lavoratori […], preservando le esigenze di eguaglianza e di solidarietà” e “salvaguardando l”unitarietà e la tenuta del sistema previdenziale“. Peraltro, la ratio perseguita dal legislatore è anche quella di garantire ai lavoratori il conseguimento di un trattamento pensionistico  adeguato  (art. 38, c. 2 della Costituzione).

Giusto quanto sopra specificato con riguardo al regime previdenziale e in considerazione dell”obbligo introdotto a far tempo dal 1° luglio dall”art. 11 del D.Lgs. n. 36/2023 e per effetto del quale un operatore economico è tenuto ad applicare il CCL comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale, l”individuazione del contratto collettivo di lavoro da applicare, effettuata in base agli indicatori di rappresentatività indicati da costanti orientamenti giurisprudenziali – e ripresi dal citato D.M. 15 luglio 2014, n. 14280-ter –, assume pertanto rilievo cruciale. Infatti, ferma restando l”autonomia negoziale che il vigente ordinamento attribuisce con riguardo all”individuazione del CCNL applicabile al rapporto di lavoro (purché congruente con l”inquadramento previdenziale attribuito), il testé citato art. 11 del D.Lgs. n. 36/2023 stabilisce, introducendo un importante elemento di novità rispetto al previgente Codice dei contratti pubblici, il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore, in forza del quale:
• le stazioni appaltanti sono tenute ad indicare negli atti di gara il contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative e rispondente alle attività oggetto del contratto sottoscritto con la pubblica amministrazione;
• gli operatori economici sono tenuti ad applicare la disciplina contrattuale espressamente individuata dall”ente concedente o dalla stazione appaltante, salva la possibilità che sia adottato un contratto collettivo nazionale di lavoro diverso, a condizione che ai lavoratori occupati nell”esecuzione del contratto siano garantite le medesime tutele.

A tal proposito, l”INL ha da ultimo precisato che, qualora in sede d’ispezione sia accertata l’applicazione di un CCL diverso da quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, “il personale ispettivo informerà la stazione appaltante e provvederà ai necessari recuperi contributivi e retributivi” ( INL, nota n. 687/2023 ).

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*A cura di Luca Barbieri e Aurora Mamprin di ArlatiGhislandi e AG Studi e Ricerche

Redazione HRBYLAW

HR by Law nasce dall’intento di professionisti di settore e consulenti di avere uno spazio per analizzare con taglio critico il diritto del Lavoro e temi legali ad esso connessi.

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