Accomodamenti ragionevoli – Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità

In data 11 marzo 2022 è stato pubblicato sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il D.M. 11 marzo 2022, n. 43, recante le ‘Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità’

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Inquadramento 

In data 11 marzo 2022 è stato pubblicato sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il D.M. 11 marzo 2022, n. 43, recante le ‘Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità’, adottate ai sensi dell’art. 1, c. 1, del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151. Detta disposizione prevede che le Linee guida:
   a) individuino modalità di valutazione bio-psico-sociale della disabilità, indicando i criteri di elaborazione dei progetti individuali d’inserimento lavorativo e definendo a tal fine linee d’indirizzo per i competenti uffici;
   b) delineino metodi e criteri d’analisi delle caratteristiche del posto di lavoro affidato a ciascun lavoratore con disabilità, prevedendo l’eventualità che siano adottati accomodamenti ragionevoli;
   c) promuovano l’istituzione di un responsabile per l’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro perché predisponga progetti personalizzati per i lavoratori con disabilità al fine di risolvere problemi correlati alle condizioni di lavoro; 
   d) individuino modalità di raccolta a buone pratiche d’inclusione di lavoratori con disabilità.

Il presente intervento si propone di condurre, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali affermatisi in materia, un esame del solo paragrafo 7 delle Linee guida in commento con riguardo agli accomodamenti ragionevoli di cui all’art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, la cui adozione è prevista espressamente in un’ottica di politica d’inclusione organizzativa e lavorativa, affinché l’attuazione di misure, anche organizzative, volte a tener conto delle esigenze dei lavoratori con disabilità sul luogo di lavoro, consentano di contrastare la discriminazione – diretta o indiretta – basata sulla disabilità (art. 1, c. 1, lett. d) del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151).

In via preliminare, è opportuno precisare che la nozione di disabilità offerta dal citato D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 è essenzialmente ‘sociale’, così che, conformemente ai principi sanciti dalla Corte di Giustizia europea, la nozione ‘della disabilità non è ricavabile dal diritto interno, ma unicamente dal diritto dell’Unione europea, da intendere quindi in senso esteso come una limitazione risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori’. 

Definizione di “accomodamento ragionevole” o “soluzione”

Dando attuazione alla Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, il citato art. 3, c. 3-bis, primo periodo del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 dispone che ‘al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare un accomodamento ragionevole, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della Legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori’. 

Tale disposizione sancisce, quindi, l’obbligo per il datore di lavoro di adottare soluzioni appunto definite “ragionevoli” perché la loro adozione non richieda un onere finanziario nel suo complesso sproporzionato (art. 5 della Direttiva 2000/78/CE).
E infatti, la soluzione non è considerata sproporzionata quando l’onere sostenuto dal datore di lavoro sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei lavoratori con disabilità.

Fermo restando quanto stabilito dalle citate disposizioni e dall’art. 10, c. 2, della Legge 12 marzo 1999, n. 68, ai sensi del quale ‘il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni’, i consideranda nn. 20 e 21 della richiamata Direttiva 2000/78/CE offrono ulteriori elementi con riguardo alla definizione di accomodamento (o soluzione), precisando rispettivamente che:

  1. trattasi di ‘misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione della disabilità, ad esempio mediante l’adeguamento:
    • di locali,
    • delle attrezzature,
    • dei ritmi di lavoro,
    • dei compiti, ripartendoli in funzione delle esigenze delle situazioni concrete o fornendo mezzi di formazione o d’inquadramento’;
    Peraltro, stando a recenti arresti giurisprudenziale, un accomodamento ragionevole consiste altresì ‘nella riduzione dell’orario di lavoro, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione, con il solo limite di imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato’ (Corte di Cassazione, sent. 23 febbraio 2021, n. 4896 e sent. 19 dicembre 2019, n. 34132).
  2. ‘per determinare se le misure in questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni’.

Alla luce di quanto sopra, un accomodamento può dunque essere realizzato mediante l’attuazione di misure:
   a) tecniche, implicanti l’opportuno adattamento del luogo e degli strumenti di lavoro in base alle effettive e concrete esigenze del lavoratore. Al riguardo, è ciò vale anche per le misure di natura organizzativa di cui alla successiva lett. c), si consideri come il ricorso ad una misura tecnica deve essere preceduta da una valutazione dei rischi, con la partecipazione del medico compente (artt. 28 e 29, c. 1 e 3 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81); 
   b) di assistenza personale al lavoratore con disabilità;
   c) organizzative;
   d) formative.

Resta inteso che pur di garantire efficacia ed effettività alle soluzioni adottate, un accomodamento può anche risultare dall’adozione di una combinazione di misure tecniche e organizzative, variabile in termini di composizione e modulabile sul piano temporale (al variare di specifiche esigenze, sia del lavoratore con disabilità che organizzative, la combinazione di misure che compongono la soluzione può essere anche oggetto di una mutevole articolazione nel tempo).
Al proposito, un esempio evidente è rinvenibile nella duttilità del lavoro agile di cui al Capo II della Legge 31 maggio 2017, n. 81, elevato ad accomodamento ragionevole dal paragrafo 7.4 delle Linee guida in esame, sebbene in tal senso la natura dell’accordo di cui all’art. 19, c. 1 della Legge 22 maggio 2017, n. 81 assuma caratteri inattesi, dal momento che il ricorso al lavoro agile come accomodamento implica l’adempimento di un obbligo per il datore di lavoro ai sensi appunto del più volte citato art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216.

Orientamenti giurisprudenziali

Le pronunce più recenti della Corte di Cassazione hanno contribuito, in misura significativa, a precisare ed evidenziare i tratti salienti dell’art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, in forza del quale, come detto, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti i) efficaci e ii) pratici in modo che il lavoratore con disabilità possa accedere al luogo di lavoro, ivi svolgere l’attività di lavoro affidatagli in un’ottica di effettiva inclusione organizzativa.
Come detto, misure e schemi organizzativi adottati devono risultare appropriati, cioè idonei ad adeguare effettivamente il luogo di lavoro così come le attrezzature in uso e le modalità di svolgimento dell’attività di lavoro.
In ogni caso, l’adozione di una soluzione impone di garantire la concreta osservanza del principio di parità del trattamento posto a tutela del lavoratore con disabilità in bilanciamento con la libertà d’iniziativa economica dell’imprenditore, così che, ad esempio, l’eventuale assegnazione del lavoratore divenuto inidoneo allo svolgimento della mansione attuale ad altra mansione equivalente (o inferiore) può essere rifiutata dall’imprenditore stesso quando:

   a) determini eccessivi oneri organizzativi, tale valutazione di proporzionalità è condotta sulla base delle peculiarità dell’impresa e delle risorse finanziarie disponibili (Cass., sent. 21 maggio 2019, n. 13649);
   b) produca effetti su altri lavoratori, modificandone significativamente le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Gli stessi hanno il diritto alla conservazione delle mansioni loro assegnate e, in ogni caso, di mansioni che ne valorizzino l’esperienza e la professionalità acquisita (Cass., sent. 23 febbraio 2021, n. 4896).

Il limite della ragionevolezza risiede dunque nel ‘limite costituito dall’inviolabilità in peius delle posizioni lavorative degli altri prestatori di lavoro nonché evitare oneri organizzativi eccessivi, da valutarsi in relazione alle peculiarità dell’azienda e alle relative risorse finanziarie, stante l’esigenza del mantenimento degli equilibri finanziari dell’impresa’ (da ultimo, Cass., sent. 9 marzo 2021, n. 6497).
È quindi necessaria una valutazione comparata degli interessi coinvolti al fine d’individuare un (eventuale) delicato punto d’equilibrio tra il diritto:
   i) del lavoratore con disabilità a non subire discriminazioni,
   ii) del datore di lavoro ad organizzare l’impresa secondo proprie insindacabili scelte e, infine,
   iii) degli altri lavoratori a conservare le mansioni già affidate e che valorizzino la professionalità acquisita.

Resta in ogni caso inteso che nell’ipotesi di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore a seguito di un infortunio o di una malattia da cui discenda l’impossibilità di questo di rendere la prestazione lavorativa, il datore di lavoro può legittimamente recedere dal contratto di lavoro quando:
   i) non sia possibile destinare il lavoratore ad altra posizione compatibile con il suo attuale stato di salute, prevedendo lo svolgimento di mansioni equivalenti o inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte dallo stesso (obbligo di repéchage) e 
   ii) non sia possibile adottare ‘accomodamenti ragionevoli’ senza che siano sostenuti sproporzionati oneri finanziari o realizzate incisive modificazioni dell’assetto organizzativo dell’impresa (Cass., sent. 23 febbraio 2021, n. 4896).

L’art. 4, c. 4 della Legge 12 marzo 1999, n. 68 prevede infatti che tale sopravvenuta inabilità non costituisca giustificato motivo di licenziamento quando il lavoratore interessato possa essere adibito a mansioni equivalenti o, in mancanza, a mansioni inferiori.
Trattasi dell’obbligo di repêchage, con riguardo al quale la Corte di Cassazione ha precisato che ‘evidentemente l’impossibilità di ricollocare il disabile, adibendolo a diverse mansioni comunque compatibili con il suo stato di salute, non esaurisce gli obblighi del datore di lavoro che intenda licenziarlo, perché, laddove ricorrano i presupposti di applicabilità dell’art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. n. 216 del 2003, dovrà comunque ricercare possibili accomodamenti che consentano il mantenimento del posto di lavoro, in un’ottica di ottimizzazione delle tutele giustificata dall’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2 della Costituzione), tanto più pregnanti in caso di sostegno a chi versa in condizioni di svantaggio’. Fermo restando che il convincimento del giudice è formato alla luce di una soppesata valutazione dei distinti interessi del lavoratore al mantenimento di un lavoro e del datore di lavoro a ricevere una prestazione lavorativa che sia utile per l’impresa del giudice, nel caso di specie il datore di lavoro è tenuto a dimostrare non solo l’impossibilità di repêchage del lavoratore fisicamente inidoneo, ma anche che la sua alternativa destinazione avrebbe imposto un onere sproporzionato o comunque eccessivo, anche (eventualmente) con riferimento alla formazione professionale.

Il datore di lavoro è pertanto tenuto a portare in evidenza atti od operazioni che abbia svolto per valutare l’adozione di un accomodamento ragionevole o di una soluzione organizzativa volti ad evitare il recesso; diversamente, il licenziamento intimato non può che essere dichiarato illegittimo (Corte di Cassazione, sentenza 9 marzo 2021, n. 6497).

Cedendo ad una semplificazione eccessiva, la Suprema Corte ha evidenziato come ‘in pratica, con riguardo alle esperienze consolidate in altri Paesi, gli accomodamenti ragionevoli rappresentano molto spesso delle soluzioni di buon senso, non particolarmente dispendiose, quali la posizioni di strisce luminose nelle vetrate e/o di strisce antiscivolo nei gradini di marmo, l’utilizzo di hardware e/o software specifici, l’applicazione degli aspetti ergonomici della postazione, degli strumenti, degli aspetti psichico sociali’ (Cass., sent. 26 ottobre 2018, n. 27243). 

Scostandosi, almeno parzialmente, da tale conclusione, potrebbe essere ritenuta ragionevole qualsivoglia soluzione praticabile che salvaguardi l’occupazione del lavoratore con disabilità e che al tempo stesso produca un’utilità per l’impresa, senza esigere un sacrificio né per l’imprenditore né per gli altri lavoratori eventualmente coinvolti eccedente il limite di tollerabilità per come esso è considerato per ‘comune valutazione sociale’. Dunque, l’individuazione di sole mansioni di carattere occasionale e residuali che non consentano un’adibizione in maniera esclusiva del lavoratore con disabilità legittima la risoluzione del rapporto individuale di lavoro, escludendo l’esame della possibilità di realizzare un accomodamento ragionevole.

Declinazione delle Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità

Il paragrafo 7 delle Linee guida in commento è dedicato all’analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro e agli accomodamenti ragionevoli.
Per quanto qui d’interesse, e ferma restando la necessità di considerare la condizione del lavoratore con disabilità per appurare l’eventuale necessità di agevolare l’inserimento lavorativo con una specifica attività di formazione, le indicazioni offerte dalle Linee guida in commento portano in evidenza come l’accomodamento debba essere appropriato e non imporre al datore di lavoro oneri – non solo finanziari – sproporzionati.
L’accomodamento, che costituisce dunque un ‘adattamento’, può, come già precisato, afferire all’ambiente fisico o all’organizzazione del lavoro (opportuna calibratura dei ritmi di lavoro ed eventuale diversa ripartizione delle mansioni) e, in ogni caso, adottato con ragionevolezza, avendo in considerazione che una nuova formula organizzativa non può comportare la modificazione in peius della posizione di altri lavoratori.

Le Linee guida portano in chiara evidenza l’opportunità di promuovere il coinvolgimento e l’attiva partecipazione del lavoratore con disabilità, anche in considerazione del fatto che un accomodamento ragionevole è per definizione a contenuto variabile e può consistere in:

  • una sistemazione del luogo di lavoro o dell’assetto organizzativo in funzione della disabilità del lavoratore;
  • soluzioni tecniche o tecnologiche, ivi incluso l’impiego di un software specifico (screen-readers o software di riconoscimento vocale), così come soluzioni di tecnologia assistiva;
  • soluzioni ambientali e di ergonomia della postazione, degli strumenti in relazione alla specifica disabilità;
  • modifica dell’orario di lavoro;
  • (ri)distribuzione delle mansioni e delle funzioni;
  • politiche formative a sostegno di una maggiore correlazione tra abilità dell’individuo e mansioni;
  • soluzioni organizzative che favoriscano il ricorso a tipologie di contratti di lavoro flessibili (come nell’ipotesi di ricorso al lavoro a tempo parziale), riorganizzazione dei turni, l’applicazione del telelavoro o del lavoro agile;
  • soluzioni che consentano al lavoratore di beneficiare di permessi supplementari, anche non retribuiti, volti ad assicurare lo svolgimento di attività riabilitative;
  • forme di assistenza sul posto di lavoro.

Particolare attenzione è riservata all’istituto del lavoro agile, al quale le Linee guida attribuiscono la funzione di accomodamento ragionevole per il lavoratore con disabilità, potendo una siffatta soluzione organizzativa garantire, se compensata da misure che contrastino il rischio di isolamento che essa comporta, una vita caratterizzata da una maggiore indipendenza. 

Misure agevolative

Come già evidenziato, un accomodamento non è sproporzionato “se e quando” l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore di persone con disabilità (art. 5 della Direttiva 78/2000/CE).
Pare dunque opportuno illustrare, in sintesi, le principali disposizioni che un datore di lavoro può invocare al fine di poter beneficiare di strumenti compensativi dell’onere finanziario che è chiamato a sostenere per l’adozione degli accomodamenti ritenuti ragionevoli:

   a) art. 14 della Legge 12 marzo 1999, n. 68, in forza del quale ciascuna Regione istituisce il Fondo regionale per l’occupazione dei disabili, volto a finanziare programmi regionali d’inserimento lavorativo e dei relativi servizi. Il Fondo può provvedere al rimborso forfetario parziale delle spese necessarie all’adozione di accomodamenti per l’inclusione di lavoratori la cui capacità lavorativa sia ridotta in misura superiore al 50%. A titolo esemplificativo, sono compresi nel novero degli oneri finanziabili:
   i)  l’acquisto di tecnologie che consentano di svolgere l’attività in regime di lavoro agile e telelavoro,
   ii)  la rimozione di barriere architettoniche,
   iii) l’istituzione di una figura professionale (disability manager) responsabile del proficuo inserimento lavorativo del lavoratore con disabilità;

   b) Regolamento per il reinserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro mediante il quale l’INAIL ha inaugurato un significativo strumento di tutela del lavoratore con disabilità, offrendo il proprio contributo specialistico per agevolare il mantenimento dell’occupazione o il reinserimento lavorativo (art. 1, c. 166, della Legge 23 dicembre 2014, n.190, così come modificato a far tempo dal 1° gennaio 2019 dall’art. 1, c. 533, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145).
A tal fine, l’Istituto assicurativo sostiene oneri finanziari destinati a realizzare un progetto o programma di reinserimento e di integrazione lavorativa personalizzato, la cui attuazione è declinata in un apposito piano esecutivo, promuovendo l’iniziativa del datore di lavoro e la partecipazione del lavoratore.
Il datore di lavoro che intenda adottare tali misure può beneficiare di un rimborso (o di un anticipo) d’importo complessivo non superiore a centocinquantamila euro delle spese sostenute al fine di:
  –    superare e abbattere barriere architettoniche presenti nei luoghi di lavoro, assicurando accessibilità e fruibilità degli ambienti di lavoro (sino al limite massimo di novantacinquemila euro),

  –     adeguare e adattare le postazioni di lavoro, ricorrendo anche ad ausili e dispositivi tecnologici, informatici o di automazione (sino al limite massimo di 40mila euro); 
  –     realizzare programmi formativi a favore dei lavoratori con disabilità destinati a consentire lo svolgimento delle mansioni affidate o la riqualificazione professionale (sino a quindicimila euro).

Conclusioni 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha avuto modo di precisare che ai fini della corretta trasposizione dell’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE, è compito degli Stati membri imporre ai datori di lavoro l’obbligo di adottare provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze concrete, a favore dei lavoratori con disabilità, affinché questi possano accedere ad un lavoro, svolgerlo, avere una promozione o ricevere una formazione.
È dunque in tale ottica che l’art. 3, c. 3-bis del D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 obbliga il datore di lavoro ad adottare politiche e programmi aziendali diretti a promuovere – per il tramite di provvedimenti unilaterali o mediante apposite intese raggiunte con le organizzazioni sindacali dei lavoratori – l’inclusione organizzativa di lavoratori con disabilità.

In una prospettiva solidaristica, l’adozione di accomodamenti ragionevoli mira, seppure in un quadro normativo caratterizzato da una particolare complessità, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del lavoratore con disabilità con la dimensione economica dell’impresa (Cass., sent. 23 maggio 2017, n. 12911).

Tale finalità ha altresì indotto ad attribuire alla nozione di accomodamento un carattere di elasticità così spiccato da risultare suscettibile di letture e interpretazioni disparate, portando in luce al tempo stesso inevitabili asimmetrie prodotte dal vigente assetto normativo, che garantisce di fatto una protezione più estesa e vigorosa al lavoratore in forza presso realtà produttive complesse e articolate e dotate di congrue risorse finanziarie, in quanto più idonee ad accogliere variegate e dinamiche (o addirittura sperimentali) declinazioni della nozione di accomodamento ragionevole, anche sperimentando combinazioni.

Da parte sua, lo stato d’emergenza sanitaria ha certamente accelerato tale processo di sperimentazione, mostrando, ad esempio, come il ricorso al lavoro agile costituisca un accomodamento ragionevole di primario rilievo, specie con riferimento ai lavoratori ‘fragili’ di cui all’art. 26, c. 2-bis del D.L. 17 marzo 2020, n. 18.
Proprio la crisi sanitaria ha portato in chiara luce come la disciplina in materia di accomodamento ragionevole sia strettamente intrecciata con l’innovazione tecnologica, il cui apporto è (stato) decisivo e certamente non mancherà di imprimere ulteriori accelerazioni in sede di sperimentazione. 

In tal senso, la figura del disability manager, alla quale è riferito il paragrafo 8 delle Linee guida in esame e che è espressamente richiamata anche nel paragrafo 9 delle Linee guida allegate al D.P.C.M. 7 dicembre 2021, sarà chiamato a svolgerà una funzione cruciale anche al fine di promuovere e governare il dialogo tra le Parti sociali, ideando e realizzando iniziative sperimentali inclusive e definite, oltre che con la partecipazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, anche con il più esteso contributo di Istituzioni pubbliche e della Comunità scientifica.

Rimane, anche per laconicità di trattazione e per non semplice applicazione dovuta alla eterogeneità dei contesti lavorativi italiani, un argomento “difficile”.
Forse un valido intervento potrebbe venire dal coinvolgimento delle parti sociali e ancora meglio in un contesto disciplinare quale la contrattazione collettiva di primo livello, quale luogo idoneo a tracciare le direttrici entro le quali realizzare genuine politiche partecipative di inclusione organizzativa.

Si rimane a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore confronto si dovesse ritenere opportuno.

Redazione HRBYLAW

HR by Law nasce dall’intento di professionisti di settore e consulenti di avere uno spazio per analizzare con taglio critico il diritto del Lavoro e temi legali ad esso connessi.

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